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precedenze

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Un viaggio per l’Italia lungo 2839 km carico di vigne, cicale, paesaggi ed incontri.

Tranquilli, non vi racconterò ogni singolo km, risulterei tediosa come gli sposini quando mostrano le diapositive del matrimonio.

ROMAGNA

Ho soggiornato due notti a due passi da Faenza, al “Fig’s Cottage” un nuovo appartamento curato nei minimi particolari (fantastiche le due cazzuole appese a mo’ di appendini), in un’oasi di verde e tranquillità, circondato da boschi, vigneti e campi e con un sottofondo musicale costante di cicale.

Prima tappa enologica alla Fattoria Ancarani, dove sono stata accolta con competenza ed entusiasmo da Elia, enologo dell’azienda, e da Giovanna che ci ha deliziato con le sue gustose piadine. Ho colto alcuni profondi spunti di Romagna enologica a base di albana, centesimino e famoso che mi sono piaciuti assai. Non ho avuto la fortuna di conoscere Rita e Claudio Ancarani poiché erano in vacanza a ricaricare le pile per l’annata poco felice che stanno vivendo, a causa di diversi aspetti tra i quali la disastrosa alluvione che ha colpito la Romagna a maggio (si vedono i resti delle esondazioni lungo strade e nei campi) e una recente grandinata che ha azzerato la produzione di uno dei cru aziendali. Al telefono con Rita, qualche giorno prima, sentendo il suo racconto, mi è sfuggita un’esclamazione molto diretta e poco educata: “Un’annata di merda!” ma ha reso perfettamente il pensiero di entrambe.

Il mio viaggio nel mondo dell’albana, vitigno che richiede in vegetazione molto spazio (fertilità distale delle gemme) e che produce grappoli enormi, è appena iniziato; è un’uva suscettibile alle malattie, in particolare al mal dell’esca, e deve essere trattata con i guanti in cantina, poiché si ossida facilmente. La ricchezza in zuccheri, acidi e tannini rende l’albana adatta a diversi tipi di vinificazione e a diverse interpretazioni.

Ancarani ne fa tre versioni, e una quarta (in anfora) è in maturazione….sono curiosa di degustarla una volta imbottigliata, l’assaggio dall’anfora promette molto bene.

I vini che abbiamo provato sono:

  • Indigeno 2021, rifermentato a base di trebbiano di Romagna.
  • Le Signore 2021, bianco semiaromatico a base di famoso, con note vegetali molto piacevoli.
  • Perlagioia 2022, a base di albana e trebbiano romagnolo.
  • Santa Lusa 2021, un’ albana in purezza elegante e determinato (la tigre in etichetta la rappresenta bene!), frutto di più passaggi di vendemmia, il primo dei quali per far iniziare la fermentazione spontanea, l’ultimo per raccogliere le uve più mature. Allevata a pergoletta romagnola, l’albana viene vinificata secca, nonostante la maturazione delle uve e l’affinamento avviene in botti di cemento e a seguire altri 6-7 mesi in bottiglia
  • Andata e ritorno 2022, a base di albana, famoso, trebbiano romagnolo, pressate separatamente per poi essere uniti come mosto in fermentazione.
  • Biagio antico 2021, sangiovese della sottozona Oriolo, a macerazione breve ed affinamento in cemento.
  • Centesimino 2021, vitigno semiaromatico molto gradevole, è la prima uva che viene raccolta ed è generosa nella produzione, con grappolo abbastanza spargolo; macerazione di circa due settimane e fermentazioni lunghe, affinato in cemento. Il vino ricorda il Ruché di Castagnole Monferrato, ma i vitigni non sono imparentati. Il centesimino (“sentesmen” in romagnolo) è un vitigno autoctono riscoperto, coltivato e sapientemente trasformato in ottimo vino (chiamato “Savignôn Rosso”) da un ristrettissimo nucleo di produttori nella zona di Oriolo dei Fichi. Sembra che i vigneti messi a dimora nei pressi di Oriolo a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70 derivassero da impianti precedenti, derivati a loro volta da materiale preso dal podere Terbato, di proprietà del signor Pietro Pianori, detto ‘Centesimino’.
  • Uvappesa, centesimino passito in vigna (appeso, appunto).

 

 

 

 

 

A conclusione della degustazione, la signora Giovanna mi ha suggerito il pranzo presso la “Trattoria Manuelì” in frazione Santa Lucia a Faenza; una trattoria con un soffitto ricoperto di ventilatori in azione, con piatti della tradizione romagnola genuini e gustosi, tanto buoni da spingermi a prendere qualche piatto da asporto per la cena, da consumare tra le cicale al mio tranquillo campo base.

Vi suggerisco una visita alla torre di Oriolo dei Fichi, dalla quale si gode uno splendido panorama collinare, dove boschi, prati e vigne si alternano a disegnare piacevoli linee morbide.

 

 

 

 

Lascio la Romagna alla volta delle Marche, fermandomi brevemente alla Fattoria Paradiso a Bertinoro; nessuna visita annunciata ma solo il desiderio di fare qualche assaggio dei suoi famosi vini, sangiovese di Romagna in particolare. Sono rimasta a bocca aperta, capitata in un monumento enologico vero e proprio; le pareti interne ed esterne del centro aziendale erano costellate di fotografie di personaggi illustri, citazioni di Luigi Veronelli all’ingresso, targhe commemorative di presenze importanti (presidenti, papi….).

Il carico di storia che mi attorniava poteva intimorirmi, forse rendere anche poco attuabile una visita senza prenotazione, ma la grandezza delle aziende si vede anche in questo, permettere una fugace degustazione dei vini ad appassionati enologici di passaggio. Il tuffo al cuore, tra le onde degli assaggi appena provati, è stata la visita alla cantina. Si scende qualche gradino e si entra nella pancia della storia della famiglia, della vigna romagnola, del vino italiano. Non ho mai visto una cantina così ricca, con bottiglie aziendali delle diverse annate (decenni di annate, per la precisione) a ricoprire pareti e soffitti, con bottiglie di aziende vicine e lontane, italiane e straniere, annate ed etichette preziose. Sono rimasta letteralmente a bocca aperta. Il caldo fuori non si sentiva più, si sentiva lì dentro, lì sotto, ed era un calore molto più piacevole.

Una menzione speciale al superbo Forlì Rosso Barbarossa IGT “Lo Spungone”, prodotto con la varietà aromatica Barbarossa, originaria del sud della Francia ma presente da mezzo secolo nei vigneti della storica cantina di Bertinoro, ritrovata proprio da Mario Pezzi della Fattoria Paradiso.

 

 

 

 

MARCHE

Il viaggio prosegue verso sud lungo la costa adriatica, alla volta di Cupramontana (AN), patria del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Ho soggiornato al B&B “Quelli del picchio”, dove Marco ci ha accolto con grande calore e simpatia nel suo un nuovo B&B, posizionato su un poggio che guarda le meravigliose colline della Vallesina. Marco ha girato in lungo e in largo per lavoro per poi decidere di cambiare vita e fermarsi a Cupramontana; direi che ha scelto un posto stupendo e la sua nuova attività, vista la qualità del servizio offerto e la sua simpatia, non avrà problemi a decollare. Il giorno successivo abbiamo visitato la famosa azienda “La Distesa”, di Corrado Dottori, di cui avevo letto alcuni libri e provato un paio di vini. Purtroppo non ho avuto la possibilità di assaggiare tutti i loro vini,; le loro bottiglie sono molto richieste e la produzione non è illimitata! E’ stata comunque l’occasione per conoscere Corrado in carne ed ossa, alla prese con l’imbottigliamento, e per rileggere il suo libro “Non è il vino dell’enologo”, sempre ricco di spunti di riflessione.

Il viaggio prosegue con un caldone crescente ed inquietante; nel pressi del foggiano ho toccato punte di 47° C, un inferno! Impossibile rimanere all’aperto, neanche un bagno nel mare ha recato sollievo.

 

 

 

 

BASILICATA

La meta più a sud del nostro viaggio è stata la Basilicata, in particolare la zona di Policoro, dove amici dell’Azienda Agricola “Santa Laura” mi hanno ospitato un paio di giorni in attesa che la colonnina di mercurio ci mostrasse livelli di temperatura accettabili per poter visitare Matera e proseguire il nostro viaggio.

Ode al peperone di Senise

Il peperone di Senise è coltivato principalmente nel territorio di Senise, nei pressi del parco nazionale del Pollino, sui promontori che dominano la valle del Sinni e del suo affluente Serrapotamo. Ha la buccia rosso carminio ed una polpa sottile che gli permette di essere essiccato naturalmente, prima ponendo i peperoni ad asciugare su teli di stoffa o su reti poste all’aria aperta, ma sempre in penombra; poi, quando i picciuoli si ammorbidiscono, si cuciono fra loro con lo spago formando delle collane lunghe anche due metri, dette serte, che vengono appese in locali areati al sole. Una volta secchi i peperoni hanno diversi utilizzi; possono essere infornati per essere poi ridotti in polvere tramite molitura: il risultato è la paprica, chiamata in dialetto anche zafàrano per via della somiglianza nel colore. Spesso vengono utilizzati come ingredienti ma l’apoteosi è quando vengono fritti per creare i famosi peperoni cruschi (croccanti): una delizia dolce e non piccante, ne mangerei a quintali.

La Basilicata è stupenda; ho ammirato paesaggi agricoli molto vari, dove colture in serra si alternano a seminativi, vigneti, boschi. Una terra ricca di acqua (ho scoperto che l’acquedotto pugliese prende l’acqua dalle riserve idriche lucane!), dove vallate e fiumi si alternano a meravigliosi calanchi e a montagne che ricordano le Dolomiti (le piccole Dolomiti Lucane, appunto), con una miriade di pale eoliche sui monti più interni.

 

 

 

 

Ritornando verso nord ho visitato Matera, un gioiello di pietra e sole, facendo poi tappa in zona Melfi per assaggiare l’aglianico del Vulture, presso la rinomata e titolata azienda ”Elena Fucci”.

La visita da Elena è stata molto interessante, lei è una vignaiola ed enologa che sa bene quello che fa e quello che desidera per i propri vini; una donna molto determinata e preparata tecnicamente, che non ha paura di dire quello che pensa, con tutto ciò che questo comporta. I suoi vini puntano (e raggiungono) a premi importanti, sono puliti, diretti, complessi ed eleganti, con acidità e sapidità caratteristiche della zona. I suoi vini prendono il nome dalla Contrada Solagna Del Titolo del comune di Barile (PZ) dove sono situati i vigneti e sono tutti a base di aglianico del Vulture, vinificati in purezza in modo differente (rosato, rosso) e con maturazioni diverse (anfora, legno). Mi sono piaciuti in particolare l’Aglianico del Vulture DOC Titolo 2020, che Elena definisce “moderno ma non modernista” e soprattutto l’Aglianico del Vulture Superiore DOC Titolo 2018 che mi ha colpito per la sua grande eleganza e complessità.

 

 

 

 

CIOCIARIA

Lasciato il Vulture mi sono diretta verso la Ciociaria, dove ho soggiornato un paio di notti ad Arpino (FR) presso l’agriturismo “La staccionata” ; un posto tranquillo, a conduzione familiare, molto accogliente, con un’ottima cucina. Mi sono rilassata visitando il bel borgo di Arpino, ammirando il paesaggio ciociaro dalla Torre medievale detta di Cicerone nell’Acropoli, a Civitavecchia di Arpino e godendo dell’abbondante acqua….da non perdere le cascate nel paese di Isola di Liri ed un giro in pedalò nel lago di Posta Fibreno.

 

 

 

 

UMBRIA

Penultima tappa in Umbria, nei pressi di Terni, per due immancabili esperienze: le cascate delle Marmore e l’azienda vinicola “Francesco Annesanti”.

La cascata delle Marmore è formata dal Velino e dal Nera, affluenti del Tevere, nei pressi di Terni, quasi allo sbocco della Valnerina. A flusso controllato è la più alta cascata artificiale d’Europa e tra le più alte del mondo, con un dislivello complessivo di 165 m suddiviso in tre salti.

La visita alle cascate è una delle esperienze nella natura più forti che io abbia provato…più che visita è stata una doccia! Ho atteso l’apertura delle cascate in un punto strategico, tra i tanti dai quali si possono ammirare i salti d’acqua; strategico perché si può vedere l’arcobaleno e farsi lavare completamente dalla nube di goccioline d’acqua che si sollevano nell’aria e inondano tutto nel raggio di decine e decine di metri.

Le sirene annunciano l’apertura delle cascate, poi si inizia a vedere l’acqua che piano piano sale di livello e con essa la nube che si dilata e si amplia da dietro il costone e piano piano lava tutto.

Emozionante, tanto emozionante. Adoro l’acqua, in tutte le sue forme…sono uscita da lì bagnata fino alle mutande ma felice come una bimba il giorno di Santa Lucia.

Una volta asciugati i panni addosso mi sono diretta da Francesco Annesanti ad Arrone.

Avevo provato i suoi Ninfa della Nera 2021 e Errore 01 a casa, che mi hanno colpita a tal punto da fissare una visita da lui come tappa improrogabile del mio viaggio. Le note salmastre del Ninfa della Nera mi hanno guidato verso la Val Nerina, dove l’acqua dolce non scorre solo nei letti del fiume ma vola, accarezza la vegetazione, si posa su ogni superficie e dona un tocco magico ai paesaggi umbri (e ai vini) che ho avuto la fortuna di visitare.

Abbiamo assaggiato da lui il Nesciolo 2022, a base di barbera, e il Sibillino 2022, a base di pecorino.

Una goduria; puliti, potenti, vivi. Gli altri vini li ho caricati in auto e li assaggerò con calma a casa.

Francesco racconta che ha appena costruito la sua nuova cantina, perché quella dove ha iniziato l’attività nel 2014, che era la stalla del nonno, non aveva più spazi adeguati per vinificare con le giuste attenzioni. Mi ha dedicato un poco del suo tempo prezioso, raccontandomi la sua vita, la sua storia enologica, le difficoltà che ha incontrato in vigna, in cantina e in cantiere, sentendosi spesso solo, ma nonostante questo ha perseguito con convinzione i suoi obiettivi. Mi ha trasmesso la sua determinazione, la massima dedizione alla sua idea di vino, alla sua anima di vino.

Eh sì, Francesco non è molto abituato alle visite, e lo capisco: dove trova il tempo per accogliere i curiosi bevitori quando deve fare tutto da solo in azienda? 6 ettari di vigna da gestire, vinificazioni complesse e attentissime da seguire con precisione e sensibilità maniacali, perché il vino, se vuoi farlo potente, deve essere ben accompagnato, curato, in particolare se fai vino naturale.

Naturale.

Non ho mai sopportato questa definizione, slegata da procedure, norme e disciplinari di produzione.

Non sopporto le etichette, in verità, perché l’etichetta banalizza il lavoro, l’idea, i sogni e le convinzioni dei vignaioli.

Incontrando Francesco e assaggiando i suoi vini ho avuto la conferma, casomai ne avessi ancora bisogno, che il vino è il risultato molto complesso di fattori naturali, umani, spirituali di un luogo.

I vini di Francesco sono spremute della sua anima, carichi di energie profondissime e molto chiare: poche chiacchiere, molta sostanza ed emozioni palpabili e palpitanti.

Annesanti, tra Errori e Sogni, ha tracciato un solco nel mondo dei vini naturali, un solco indelebile, per quanto mi riguarda.

 

 

 

 

VERSO CASA

Ultime tappe verso casa sono state una notte a San Sepolcro (AR) dove ho sorseggiato un vino a base di Pugnitello (antico vitigno a bacca nera della Toscana, chiamato così per la forma del suo grappolo che richiama ad un piccolo pugno) e un pranzo a Scandiano (RE) presso “l’Osteria in Scandiano” , dove ho gustato un’ottima faraona cucinata in 4 modalità diverse.

 

 

 

 

 

Se siete arrivati alla fine dell’articolo, forse vi è venuta voglia di partire e di ripercorrere le tappe (e i tappi) che vi ho raccontato.

In verità, ciò che ho visto è solo una minima parte di ciò che mi piacerebbe conoscere, quindi magari si riparte insieme!

Sicuramente, a breve, vorrei tornare in Romagna (ci sono diverse aziende da visitare) e nelle Marche (di Verdicchio ne ho bevuto poco); con qualche giorno in più a disposizione, vorrei proseguire in centro Italia, rivedere Umbria, Lazio ed Abruzzo, perdendomi per strade interne per poi fermarmi tra campagna e monti, gustare piatti tradizionali in piccole locande in borghi sconosciuti, scoprire vitigni che non compaiono nei miei appunti del corso di sommelier, fare il bagno in altri laghi, fiumi e mari…e magari rifare la doccia alle cascate delle Marmore!